Palazzo delle Poste
E poi ci sono i luoghi che conosci a memoria.
Perché li hai frequentati a lungo. Magari il bar sotto casa.
O il Bar Sport di Benni (Luisona compresa).
Magari come le nostre case. Adesso che finalmente conosciamo il numero esatto delle mattonelle o dei listoni di ciascuna stanza potete seguirmi.
O perché ne hai disegnato piante prospetti e sezioni (Cose che capitano agli architetti).
E del Palazzo delle Poste di via Marmorata di De Renzi e Libera (1933-35) ne avevamo fatto perfino un plastico (una versione ridotta, fidatevi), con l’aiuto di papinomio.
Per l’esame di Illuminotecnica con quel prof Bianchi con gli occhi a palla, scombinato e generoso con tutti. Unico nel suo genere. Capace di farti revisione (progressiva messa a punto del progetto) sul cofano delle macchine di Fontanella Borghese alle 9 di sera.
Gli ho riorganizzato la vita (solo delle revisioni) con l’agenda dello studente, io novella Marie Kondo (quella dei calzini arrotolati).
E grazie a quell’esame (non propedeutico) il Palazzo delle Poste è diventato casa per un semestre. Centimetro per centimetro, lastra per lastra.
Monumentale con charme.
Figlio del Movimento Moderno dei grandi padri (non si uccide l’Edipo!) che qui da noi diventa Razionalismo.
È una sorta di corte aperta su podio, preceduta da un porticato. Fatta di organismi separati e distinti, eredi del funzionalismo. Gli uffici nella parte posteriore (il prospetto dietro da vedere).
I due elementi laterali che contengono i corpi scala che ne disegnano la trama inconfondibile.
E il tamburo centrale che cattura la luce e la porta all’interno della sala principale.
30 e lode e tanta gratitudine prof. Bianchi.
Ti abbiamo amato in tanti. Manchi.
E invidia buona per chi va a pagare i bollettini lì dentro.
Vicino a Cimitero acattolico e piramide cestia. Un salto alla ferrovia del trenino per Ostia, ferma agli anni ‘30, con le sue incredibili piante di banano.
E poi lì c’è Testaccio.
Graditi consigli e racconti. Credits: Archidiap